Il mito degli scienziati in pandemia
21 marzo 2021
Questa parabola sui pericoli dell’intelligenza artificiale mi sembra utile per raccontare la Svizzera al tempo della pandemia. Giorno dopo giorno, infatti, la «task force scientifica» federale si è dimostrata in qualche modo simile a una variante umana di Turry. L’istruzione iniziale che il Governo ha impartito alla Task force è semplice: «ridurre a zero i casi di coronavirus». Da bravi specialisti, i membri si sono applicati con rigore scientifico al perseguimento di questo obiettivo, e soltanto di questo. Lo strumento migliore per ottenerlo è stato individuato in un «lockdown» della società, possibilmente totale e – come direbbe Draghi – whatever it takes.
In un sistema all’insegna della concordanza e della sintesi tra interessi diversi, però, la buona politica non può essere fatta senza tenere conto di tutte le sensibilità. È l’esatto contrario di quel che fa uno specialista, come hanno ammesso pubblicamente alcuni medici che (si) mettevano in guardia dal pericolo di non distinguere il compito degli specialisti da quello dei politici. Sia chiaro: non possiamo incolpare gli specialisti, se fanno gli specialisti. Un epidemiologo passa la giornata a immagine soluzioni per combattere le epidemie. La colpa, semmai, è di chi sfrutta la scienza come una stampella per tenere in piedi posizioni ideologiche, e come un randello per colpire chi la pensa in modo diverso. Infatti, ci sono politici che in questi mesi si sono fatti forti del parere degli «scienziati»: una parola che fa pensare a camici bianchi e provette, o all’Archimede di Zio Paperone. Ma nel mondo reale non esiste una Scienza e non esistono «gli scienziati»: esistono epidemiologi, psichiatri, sociologi, criminologi – e ognuno vi racconterà il suo punto di vista specialistico sulla realtà. Chiedere loro di più, o chiedere loro soluzioni politiche, significa pervertire pericolosamente il nostro sistema democratico.
Chi usa la parola «scienziati» brandendo alcune statistiche (mentre nasconde altre dietro la schiena) sta solo tentando di rendere rispettabile la sua posizione politica. Un «lockdownismo» che invoca un ruolo dilagante dello Stato, travestito da campagna in difesa dei più deboli dalla rapacità di chi si permette di denunciare la messa a rischio di aziende, posti di lavoro e sostenibilità dei conti pubblici.
Questa pandemia ci insegna che dobbiamo ascoltare tutti gli specialisti, ponendo fine allo strapotere di alcune discipline a scapito di altre – e di chi li sfrutta per promuovere ideologie regressive. Un problema complesso come la pandemia – e le crisi economica, sociale, umana generate dalle misure per contenere i contagi – richiede decisioni figlie di uno sguardo complessivo, prese da persone che possono essere chiamate, se necessario, a rispondere dei propri errori di fronte alla popolazione.