Alessandro Speziali

Serve una voce per la società

19 novembre 2020

Queste disfunzioni sono l’effetto di quel che è accaduto, negli ultimi mesi, al nostro dibattito pubblico. La nostra attenzione di cittadini e politici è stata infatti dominata da una specie di guerra fredda: da un lato, il blocco che chiede alla politica di difendere la salute pubblica a ogni costo, facendosi forte dei dati e degli allarmi lanciati dalla «task force» scientifica. Sul fronte contrapposto, il contingente di chi teme che la cura a base di «lockdown» si dimostri più dannosa della malattia, e si appoggia sulle previsioni congiunturali di una «task force» economica.

Il duello fra queste due visioni contrapposte della crisi – un po’ come è accaduto storicamente con quello fra gli eredi dei due poli rivoluzionari égalité e liberté – ci ha però fatto perdere di vista che esiste un terzo elemento non trascurabile – che in realtà ha il ruolo della terza gamba di un tavolino, senza la quale è davvero difficile mantenere l’equilibrio.

Per essere più chiari, provate a rispondere alla domanda: chi sta difendendo politicamente gli interessi della cultura, dello sport amatoriale, della vita notturna, delle forme di aggregazione spontanee, della coesione nazionale, del nostro benessere psicologico? Non lo sta facendo nessuno, oltre a pochi singoli politici sensibili, che si muovono rigorosamente in ordine sparso.

Manca dunque una voce ufficiale che abbia pari dignità rispetto a quelle dedicate a sanità ed economia – e che si occupi di tutti quegli aspetti della nostra vita il cui valore non si lascia schiacciare fra le caselle di una tabella Excel. Il risultato di questa lacuna è che una parte essenziale della nostra vita, personale e comunitaria, è oggi come… una lobby senza lobbisti. Inutile dire che si tratta di una posizione molto scomoda, nel Paese in cui l’«unirsi per esprimersi» è premessa essenziale di chi vuole difendere le proprie rivendicazioni.

Sarebbe davvero un grande passo avanti, se riuscissimo a dare fiato a questa terza «task force», che sia libera di affrontare tutte le domande che per epidemiologi ed economisti sono troppo complesse o trascurabili – trattate come fossero il colore della valigia da riempire, mentre la casa va a fuoco. Ci serve davvero una voce autorevole che sia in grado di fornire radiografie, prognosi e diagnosi su ciò che riempie di senso il nostro vivere sociale, al di là della salute e del posto di lavoro.

Il sollevamento popolare al quale abbiamo assistito settimana scorsa, dopo le misure contraddittorie entrate in vigore in Ticino, esprime la frustrazione di chi ha scoperto di non avere una voce – benché il nostro sistema politico sia costruito esattamente per dare una voce a tutti. Queste proteste non sono un indizio di «stanchezza» della popolazione, men che meno una dichiarazione di resa degli operatori culturali. Sono invece il segno della forza e della fiducia con la quale queste persone coltivano le proprie attività, e di quanto desiderino partecipare al dibattito su come intendiamo costruire il futuro della nostra società, soprattutto nei momenti più difficili.