Non ci servono macerie in ottima salute
30 ottobre 2020
Il 2020 non sarà ricordato come un anno glorioso per il Parlamento di questo Cantone. A parecchi cittadini non siamo affatto mancati, durante la sospensione della democrazia, e altri potrebbero ora convincersi che, in fondo, siamo irrilevanti. Lo dico perché mi sembra che molti abbiano intuito che affrontare questa crisi sanitaria sia pericoloso (se non con il senno di poi): meno scivoloso dunque orientarsi su altri temi – di certo rispettabili, ma sicuramente non così urgenti. Così facendo rischiamo di perdere la fiducia dei cittadini, ma non solo: le scelte evitate oggi ci fanno contrarre debiti enormi a livello economico, finanziario, sociale, formativo, relazionale.
Non possiamo restare passivi di fronte al dibattito in corso nel resto della Svizzera, senza denunciare le derive inquietanti che lo agitano. Il rischio è di finire come la famosa rana nella pentola, perché l’acqua attorno a noi si è già parecchio scaldata: presto potremmo scoprirci bolliti in quel brodo di divieti, dirigismo, centralismo, paternalismo e ostilità ai giovani che alcune forze politiche stanno somministrando, indisturbate, alla popolazione. Ecco perché faremmo bene a parlare forte e chiaro, dichiarando inammissibile lo scenario di un Paese «sanissimo ma in macerie», sulle quali alcuni sognano (oggi come ieri) di costruire sistemi estranei a quelli sui quali si basa la Svizzera che conosciamo.
Affrontare questa crisi da liberali significa lottare per la vera normalità nella scuola, che difende l’uguaglianza di opportunità, e cercare di frenare la voragine nei conti pubblici, così da non lasciare debiti insostenibili alle future generazioni. Significa battersi affinché il mondo delle imprese e del lavoro non subisca altre frenate, che potrebbero risultargli fatali. Significa rifiutare di lasciare campo libero all’invadenza dei poteri pubblici, spacciata con il pretesto sempre comodo della «sicurezza». Significa ripetere ad alta voce una verità incontestabile: che la qualità della nostra sanità dipende dalla ricchezza del nostro Paese.
Amici dallo spirito liberale, alziamo i guantoni e spingiamoci fuori dall’angolo in cui ci siamo lasciati cacciare: diciamo a tutti che difendere l’economia non significa volere la morte in massa dei nostri amati nonni, e che rifiutare di cedere alla classe medica tutto il potere decisionale non significa servire il dio denaro. Come liberali vogliamo proteggere le persone nella loro interezza, che va al di là della semplice salute fisica, e ricordiamoci il nostro spirito critico quando piovono restrizioni, limitazioni, sensi di colpa e subdole pressioni sociali – forze che, alla lunga, corrodono le basi stesse della nostra società.
Questo Paese non può prosperare solo con agricoltura, sanità, industria farmaceutica, energia idroelettrica e pubblica amministrazione. Il nostro benessere passa anche (soprattutto!) dalle PMI, dai ristoranti, dai negozi, da eventi, cinema, teatri e sport – oltre che dalla miriade di attività indipendenti che stanno rischiando il collasso. Non difendiamo gli squali della finanza, ma donne e uomini intraprendenti, che creano posti di lavoro, formazione, benessere e pace sociale. Dobbiamo essere la voce di queste persone operose che oggi stanno zitte, perché difendendo pubblicamente il loro lavoro temono di essere tacciate di avidità o bollate con l’orribile etichetta di «negazionisti».
La crisi sanitaria va affrontata con la massima serietà, il che significa proteggere la minoranza più vulnerabile a questo virus. Possiamo farlo potenziando il nostro sistema sanitario, senza badare a spese, perché viviamo in un Paese che funziona. Se invece sceglieremo di negare i principi sui quali abbiamo costruito il nostro benessere, non aiuteremo nessuno – a parte gli estremisti rimasti ai tempi della macchina a vapore, che continuano a vagheggiare macerie sulle quali realizzare il «superamento del capitalismo».