Vogliamo essere davvero responsabili?
10 giugno 2020
Scrivendo di equità intergenerazionale corro il rischio di ripetermi, ma il chiodo va battuto fino a consumare il martello. Un partito che difende orgogliosamente la “responsabilità individuale” deve occuparsi anche della sua declinazione nella sfera collettiva. Il progresso è responsabile soltanto quando è sostenibile, cioè quando consegna alle generazioni successive un Paese in condizioni – sociali, economiche e ambientali – perlomeno non peggiori rispetto a quelle ereditate.
Da Berna a Zurigo, non c’è centro di ricerca che non metta in guardia: crisi della produttività, compressione dei salari, ostacoli all’acquisto della casa primaria e scenari horror tanto nel primo quanto nel secondo pilastro – roba da invocare la più volte citata «Greta Thunberg della previdenza». Come se non bastasse, il coronavirus ha spinto la nostra economia sulla soglia di una pesante recessione economica – e visto che la robustezza del welfare è conseguenza del benessere economico, anche la nostra anima sociale dovrebbe essere molto preoccupata.
La spia d’allarme lampeggia con sempre più insistenza perché in gioco c’è la sopravvivenza stessa del nostro sistema e della pace sociale – il famoso «contratto fra generazioni», che per chi ha meno di 50 anni somiglia sempre più a uno schema Ponzi istituzionalizzato. Di fronte a queste crepe, il PLR è chiamato a essere l’acciaio nel cemento armato che regge la coesione ticinese e svizzera. Un partito intergenerazionale è necessariamente interclassista, e questo significa investire nella scuola pubblica e nella capacità innovatrice del nostro Paese, per riattivare la ridistribuzione delle opportunità e riaccendere la speranza in un futuro davvero sostenibile.