Alessandro Speziali

Alessandro Speziali intervistato da Francesco De Maria

09 giugno 2020

Francesco De Maria  Come mai ha ceduto alla tentazione di scrivere un articolo abbastanza provocatorio, a cominciare dal titolo “Il socialismo che fa il tifo per il virus”? Non temeva le reazioni? Ne ha avute?

Alessandro Speziali  Soffiare sulla fiamma del dibattito è un dovere di ogni buon politico, già solo per il fatto che in questo nostro bellissimo Paese ci è consentito farlo. Non ritroveremo forse mai la vivacità degli anni del Dopoguerra, ma il confronto – anche duro – rimane essenziale per non scivolare nell’inerzia. Da un punto di vista più partigiano, come liberali penso sia nostro compito segnalare le minacce al nostro modello di società. L’articolo sul “virus della speranza socialista” rientra in questa logica, e ha funzionato: non avevo mai ricevuto così tante reazioni positive. Ovviamente ci sono state anche critiche, che però sono quasi più utili delle lodi, visto che allenano il coraggio delle proprie idee. In ogni caso, mi rincuora sapere che non ho scritto un articolo asessuato e che non ho distribuito dosi di edificante “moralina”.

Il Virus sarà l’occasione attesa per migliorare il mondo?

«Migliorare il mondo» è una formula che si presta a scivolamenti pericolosi, a seconda che il punto di vista sia riformista o rivoluzionario… Possiamo di certo sfruttare il momento per accelerare il nostro cammino verso il futuro, evitando di imboccare cammini regressivi. Quel che vedo fin qui mi rende ottimista, perché in Svizzera e in Ticino prendono forma tendenze positive: enfasi sulla formazione, rafforzamento del settore sanitario, digitalizzazione e sostegno all’innovazione.

Il malefico “Corona” ha decretato il fallimento del modello liberale? Oppure (attenuo) è destinato a modificarlo in profondo? Nascerà “un mondo nuovo”, invocato dai profeti?

Il confronto internazionale sulla qualità della risposta al virus ha mostrato, in modo clamoroso, che viviamo per davvero nel «meno peggio» dei sistemi possibili: liquidare la filosofia liberale che ha costruito questo piccolo miracolo sarebbe un passo indietro per tutti, perfino per i suoi nemici. Quel che ci serve per il futuro è però un liberalismo intelligente, impermeabile alle tentazioni stataliste e liberiste, che in più faccia attenzione a restituire dignità alla dimensione locale. È un po’ quel che sta accadendo nella filosofia dei grandi cuochi: meno crostacei e foie gras, più pesce di lago e farina bòna onsernonese. Bisogna tornare alla territorialità con intelligenza, vivificandola grazie al sapere – non solo tecnico – costruito imparando nelle migliori cucine di tutto il mondo.

Vorrei un suo giudizio sull’informazione al tempo del Coronavirus. Io (ma non voglio influenzarla) l’ho trovata ossessiva, intessuta di ripetizioni infinite, incalzanti, angoscianti. Il Virus ha insidiato sì i corpi, ma anche l’equilibrio psichico delle persone…

È vero che l’informazione è stata martellante, con conferenze stampa a ripetizione come le puntate delle serie su Netflix. L’aspetto positivo di questa “pandemia comunicativa”, forse, è che ha aiutato a capire in fretta il pericolo che il sistema sanitario stava vivendo e ci ha fatto assimilare i giusti comportamenti. Il rischio, ora, è che subentri la saturazione, o magari addirittura una rivolta contro la società “ultra igienica” che stiamo costruendo. Più che sul ruolo dei media, a lungo termine occorrerà comunque riflettere sul vuoto politico registrato durante la «Coronacrazia» e sui suoi effetti a livello economico, sociale e intergenerazionale.

Il governo ha nuovamente prorogato lo “stato di necessità”. Una decisione giusta, o addirittura inevitabile?

Lo Stato di necessità poteva terminare a maggio, o almeno essere discusso con il Parlamento.

Si dice spesso che il PLR è il partito della “destra economica”. Può anche stare ma a questo punto io dico che c’è anche una destra “nazionalista” o “patriottica”, e per me la stessa parola (destra) significa due cose abbastanza diverse…

Anche se ha un sapore un po’ nostalgico, la parola chiave per capire il nostro partito è “interclassismo”. All’interno del PLR – in particolare a livello nazionale – la destra economica ha il compito di sorvegliare il rispetto della libertà economica: un principio delicatissimo perché sconosciuto in altri Paesi di indole corporativista, come per esempio l’Italia. Accanto a questa corrente, c’è poi chi esprime una più spiccata sensibilità sociale, strettamente legata alla storia del nostro partito e del nostro Paese. Infine, ci sono molti PLR sensibili alla questione nazionale e identitaria, attenti al valore della comunità (in senso laico). Questi tre elementi, in continuo confronto, danno forma al liberalismo in ogni epoca storica.

Lei vede – giustamente, a mio modo di vedere – la battaglia fondamentale svolgersi, e da molti anni, tra le forze liberali e le socialiste. Ma io non penso che il PLR (come partito) possa combatterla e vincerla da solo, gli serviranno degli alleati. Ci sono? Li può trovare?

Se guardiamo il panorama politico vediamo tre aree politiche distinte, ognuna con la propria narrativa: lo statalismo rossoverde, la galassia leghista e le forze liberali. Tenersi lontani dalla seduzione dei due poli, sempre più ideologizzati, non è facile. Penso però che il PLR, proprio grazie alle tre sensibilità discusse poco fa, possa guidare il fronte che crede in un Ticino e una Svizzera fedeli alla propria anima liberale. Se devo descrivere concretamente questo fronte, può aiutare uno sguardo al nostro Parlamento: vedo un “blocco di resistenza” formato dal PLR, ovviamente, insieme a molti PPD e ad alcuni esponenti della destra moderata, che in cuor loro sono (rimasti) liberali. Ma attenzione: attorno a noi gravitano molti progressisti non ideologici, interessati a difendere una visione liberale socialmente responsabile e sostenibile da profilo ambientale…

Come vede le schermaglie in atto tra il compassato e gestionale PS e la piccola – ma aggressiva e chiassosa – sinistra radicale? Potrebbe prodursi a breve/medio termine un mutamento del rapporto di forze nell’ambito della sinistra?

Il PS è costretto a scivolare sempre più a sinistra per recuperare un elettorato popolare che, in tutta Europa, è finito a destra. È come se, a scoppio ritardato, avessero ascoltato il famoso appello di Nanni Moretti quando strattonava la dirigenza socialista (ai tempi erano ancora i DS) per farle “dire qualcosa di sinistra”. Il risultato è un partito più movimentista sulle questioni di società e nel mercato del lavoro, con posizioni sempre più spesso qualunquiste verso l’economia. L’area “intensamente rossa” è insomma sempre più affollata, con l’MPS e il PC a dare il “touch” massimalista e antisistema. I socialisti più riformisti rischiano di rimanere un po’ spaesati però. In tutta franchezza, mi chiedo poi quanto a lungo la dirigenza socialista riuscirà a difendere certe posizioni contrarie alla giustizia fra le generazioni – come la difesa a oltranza di certi privilegi previdenziali – di fronte ai giovani del partito.

Da nove lunghi anni Bertoli è alla testa del DECS. Come valuta i risultati della sua gestione, con una particolare attenzione alla “Scuola che verrà” e alle recentissime decisioni “in tempo di Pandemia”?

La conduzione bertoliana è percepibile nel metodo e nel merito. La buona fede del Consigliere di Stato è indiscutibile, ma penso che in questi anni – complici anche alcuni funzionari – siano emersi almeno due limiti chiari: uno stile verticistico di conduzione (coerente con la filosofia dell’ex Presidente del PS) e una visione un po’ pedagogista ed egualitaria dell’educazione (coerente con la visione ideologica di chi ora governa la scuola). La “Scuola che verrà” si è schiantata proprio su questi due scogli. Sulla riapertura delle scuole? Scelta sacrosanta. Sulla rinuncia agli esami di maturità? Né sacra, né santa.

Come valuta il 2019 elettorale del PLR?

Beh, alle elezioni cantonali abbiamo marciato sul posto (con una piccola flessione) e alle federali abbiamo perso il rappresentante al Consiglio degli Stati: il 2019 è quindi un anno negativo che ci impone di lavorare non tanto su come ci esprimiamo, ma su cosa vogliamo dire. Dobbiamo interrogarci sulla nostra identità e sul nostro ruolo nel sistema politico.

Lugano e Bellinzona, le due più importanti città del Cantone, hanno un sindaco leghista e un sindaco socialista. Non potrebbe essere vista come la prova di un declino del PLR ? Quali sono le prospettive di un recupero A) nella capitale B) sulle rive del Ceresio?

La perdita dei due Sindacati ha radici comuni: l’incapacità di costruire il ricambio generazionale e la presenza di personalità di spicco in altri partiti. Se quest’ultimo aspetto è qualcosa che non possiamo controllare, teniamo a mente che il declino dei partiti è spesso legato all’incapacità di rinnovare persone e idee. – Per la capitale: vedo bene Simone Gianini (mio ex comandante d’artiglieria), intelligente, metodico, molto sachlich, che quando parla è didattico come un manuale scolastico. Visto che parliamo anche della relève, segnalo in prospettiva Fabio Käppeli, politicamente astuto, che sta costruendo una coerenza ideologica ma dovrà approfittare di questi anni per crescere professionalmente. – Per le rive del Ceresio: Michele Bertini. Un Luganese apprezzato anche nel Sopraceneri (aspetto non scontato!), consapevole della propria forza, con un ancoraggio territoriale custodito con una capacità scientifica che gli invidio. La sua avventura professionale attuale non può che fargli bene, anche a livello personale. E poi ci sono figure come Rupen Nacaroglu che trovo molto fresh e utili per rigenerare una Sezione che deve lasciarsi alle spalle ruggini interminabili.

Lei avrebbe annullato e rinviato di un intero anno le elezioni comunali? Sì. Dal punto di vista pratico sarebbe stato complicato e dal punto di vista politico è mancato completamente il dibattito locale.

Il PLR ha, da poco, una capogruppo parlamentare, Alessandra Gianella. Potrebbe tracciarmene un profilo politico?

Ha avuto una progressione elettorale che ha stupito pure lei. Rappresenta la tipica sobrietà svizzera, nei modi e nei contenuti. A breve lascerà economiesuisse per mettersi in proprio ed è un’occasione per scuotere un po’ un approccio equilibrato che ogni tanto mi esaspera. È geneticamente liberale e culturalmente molto aperta: rappresenta un serio pericolo per qualsiasi compagno di lista.

Quali sono i suoi obiettivi in seno al partito? C’è una carica o una funzione che le interessa particolarmente?

Non sono un tipo da risposte preconfezionate stile “sto bene dove sono”, “mi piace quel che faccio”, “saranno gli elettori a decidere”. Il suono del parquet della sala dei passi perduti a Berna mi affascina terribilmente. È come sussurrare “Wimbledon” a un appassionato di tennis.

Termino con un tema che le sta a cuore, la Valle Verzasca. Da quanto tempo si occupa del suo “rilancio”? Quali sono le sue idee fondamentali in proposito?

Ho iniziato due anni fa a occuparmi di questa Valle, sempre più famosa. Dedicarmi allo sviluppo del territorio mi permette di occuparmi di gastronomia (la mia passione), economia, mobilità, turismo, storia, cultura e sport. La mia idea di sviluppo del territorio respinge il modello del “museo a cielo aperto”, imbrigliato nel passato, che spesso significa mummificare l’esistente. Solo un territorio vivo e capace di proiettarsi nel XXI secolo potrà tramandare la propria storia e i propri valori, pienamente compatibili con uno sviluppo economico durevole. In poche parole: voglio contribuire a costruire una Verzasca simbolo del “lusso alpino”, fatto di qualità e frugalità, anima delle nostre Valli.

Quanti comuni e quanti abitanti ha la valle? In quale misura le sue potenzialità turistiche non sono sfruttate?

Dal 18 ottobre la Verzasca diventerà un Comune unico, aggregando Vogorno, Corippo, Brione (Verzasca), la frazione di Valle di Cugnasco-Gerra e di Lavertezzo, Frasco e Sonogno per un totale di circa 900 abitanti. La Verzasca restituisce da subito, appena superata la diga, l’immagine di un territorio rurale di montagna, senza un fondovalle consegnato allo sviluppo anonimo di troppe nostre pianure. L’asprezza della forma a “V”, il fiume che attira cacciatori di selfie da tutto il mondo e una popolazione autoctona ancora ben presente sono ingredienti invidiabili per una meta turistica. Ci sono però potenzialità inespresse delle quali occuparci nei prossimi anni: penso soprattutto alle strutture ricettive (dal campeggio alpino all’albergo diffuso, passando per i numerosi rustici disponibili) e a una ristorazione attenta alla qualità della produzione locale.

Se lei, politico (per finta) onnipotente, potesse concedere qualcosa alla sua amata Valle, che cosa le darebbe?

Vorrei invertire la tendenza allo spopolamento. Visto che la bacchetta magica di un politico onnipotente è bella lunga, tra i nuovi residenti inserirei alcuni investitori facoltosi e generosi con la propria comunità: i capitolati dei progetti reali contengono numeri con molte cifre. E per tornare al famoso articolo dal quale è partita questa intervista… il Dio denaro sa anche essere anche buono e giusto.