Alessandro Speziali

Dobbiamo vivere assieme

07 marzo 2019

Un liberale-radicale deve sempre guardarsi le spalle, in questo Cantone, se cita la Bibbia. Eppure, anche se non sono persona di Chiesa, confesso che sorrido vedendo sulle nostre strade quei manifesti blu – un po’ misteriosi – che dicono: «Non stanchiamoci di fare il bene». È stato così anche per il concetto di «convivialismo», al centro di un recente editoriale di Silvano Toppi su questo giornale. L’analisi riguardava le spinte politiche in Svizzera e altrove estranee al bon ton liberale o socialdemocratico, evitando finalmente di liquidarle pigramente come mediocri posizioni «di pancia». Al contrario, Toppi vede in queste posizioni il riflesso di un’aspirazione nobile: la volontà di dare nuova sostanza all’idea di vivere assieme, abbandonando la ricerca della crescita infinita.

È un bisogno che ho avvertito con forza in questi mesi, che mi vedono percorrere il Cantone in lungo e in largo a caccia di storie local, all’ombra dell’economia global. Ho imparato molto dalle donne e uomini che ho incontrato: persone che da anni rendono vivo il nostro territorio, e che hanno contribuito a farmi comprendere – una volta ancora – il bisogno di sentirci una «comunità» consapevole, aperta e solidale.

Ho ascoltato le storie dei nostri artigiani, commercianti, commesse, impiegati e ristoratori; gente di città e di valle che per motivi diversi sente di essere alle prese con una pericolosa corsa al ribasso, ma è fermamente animata dalla volontà di non lasciarsi spingere a fondo. Lo Stato può aggiustare alcune distorsioni, ma sarebbe pericoloso cullarsi nell’idea che le leggi risolvano tutto. Come cittadini e consumatori, però, ogni giorno possiamo dare un contributo tangibile a queste persone. A chi ordinare il nuovo boiler, dove comperare un paio di scarpe da ginnastica, da chi farsi servire un piatto di ravioli alla farina bóna: quando le nostre scelte premiano la dimensione che ci circonda, danno ossigeno a chi assicura impieghi, tiene accese le vetrine nei paesi e in città, paga affitti e imposte in Ticino e nei Comuni. È chiaro che la spesa a nostro carico aumenta – e che non sempre la gentilezza è inclusa nel prezzo … – ma è giunto il momento di capire che la sostenibilità non riguarda solo le foche dell’Antartide: i consumi davvero durevoli, insomma, sono quelli che fanno circolare la ricchezza all’interno della comunità economica in cui viviamo.

Il concetto di «convivialismo» non vorrei però limitarlo alla sola economia. La situazione della nostra scuola ci confronta al bisogno, più volte espresso, di ricostruire una comunità educativa. Sulle spalle di docenti e direttori si è accumulato in questi anni il peso delle distorsioni di una società stanca, alla quale è passata la voglia di educare i propri figli e prestare attenzione a quelli degli altri. Le aule non possono essere l’unico ambiente regolato nella vita di bambini e adolescenti. Occorre quindi restituire alla figura del docente la necessaria autorevolezza, ma anche costruire una rete di ripetitori per il suo messaggio educativo che giunga al maggior numero di giovani che cercano conforto, o perlomeno un confronto. Per questo occorrerà investire adeguatamente anche nelle infrastrutture sportive e negli spazi ricreativi: zone di incontro fra adulti e giovani e vere reti di protezione contro il disagio, che non può essere combattuto solo con la repressione.

In politica e nella vita di tutti i giorni “non stanchiamoci di fare il bene”, se davvero ci teniamo al nostro Paese.