Alessandro Speziali

Teniamo accesa la fiamma del federalismo: Il mio discorso al Congresso PLR

19 novembre 2018

È un po’ strano parlarvi dando le spalle al maxi schermo del FEVI, ora PALEXPO. Proprio qui sono stato caposala per molte edizioni del Locarno Festival. Ho potuto ammirare piccole grandi storie che costruiscono le realtà del nostro Paese, e quelle del mondo che ci circonda. È vero che spesso la pelliccia del pardo è più rossiccia che gialla e nera… ma questa distanza ideologica mi ha aiutato a riconoscere i meriti delle opinioni altrui, scavalcando i miei pregiudizi. Se vi ho parlato un po’ delle mie estati, è per offrire uno scorcio su come intendo la politica e su come vivrei la carica di Consigliere di Stato: con sobrietà, passione e dedizione.

Sono davvero felice che stamattina ci incontriamo nel Locarnese. È la mia regione: un angolo di Ticino che si apre al mondo ma che ricorda sempre il debito nei confronti delle sue valli, che sono la culla della nostra identità. Il Ticino ruota attorno ai suoi agglomerati, ma quando l’ex Presidente Rocco Cattaneo mi chiese nel 2015 di scrivere il programma del PLR, volevo che le valli fossero un pilastro della nostra «casetta». E così è stato. Per aiutarle dobbiamo prima di tutto combattere una burocrazia che le vorrebbe trasformare in musei a cielo aperto.

Ma fare politica in Ticino non è solo parlare di centri e valli: se è vero che «la politica estera è anche politica interna», come dice bene il nostro Consigliere federale, il nostro destino è anche legato ai Cantoni di oltre Gottardo, come già nell’800 insisteva Giovan Battista Pioda. Anche nei nostri momenti più onfaloscopici – e qui regalo a chi si sta annoiando una parola da cercare su Google… – rimaniamo parte di una Confederazione. Una Confederazione che oggi vive un federalismo sempre meno solidale e sempre più centralista. Sono dinamiche che devono preoccuparci perché a pagare le conseguenze delle scelte prese a Berna, alla fine della catena, sono anche i Comuni. Essere Consiglieri di Stato significa impegnarsi a difendere un federalismo autentico. Ma significa anche spingere il nostro pensiero oltre i confini nazionali, perché siamo un Cantone di frontiera confrontato a dinamiche ben diverse da quelle di Ginevra o Basilea.

E qui la regola numero uno dei social media in Ticino: durante una discussione politica fra due cittadini, su qualunque tema, la probabilità che qualcuno finisca per menzionare i frontalieri tende verso il 100%. Eccoci dunque al tema cruciale: il mercato del lavoro. Noi liberali radicali siamo sostenitori dell’economia, una parola che con ostinazione rifiutiamo di considerare una parolaccia. Di fronte alla rivoluzione digitale siamo ottimisti: vediamo prima di tutto grandi opportunità. Da un po’ di tempo, però, questo ottimismo rischia di diventare come quegli occhiali rosa che filtrano la realtà, escludendo dal campo visivo chi subisce una concorrenza che, più si scende a sud del Ceneri, più diventa una Babele. Per questo motivo sto setacciando il nostro Cantone; dalle conferenze alle bettole, dai cantieri alle discussioni fra genitori nei parchi gioco. Raccolgo «microstorie» di persone che mettono buona voglia e coraggio in quel che fanno, ma hanno la sensazione di essere in balia di una marea che cresce, senza poterla cavalcare; peggio ancora, si vedono talvolta derisi da chi ha la fortuna di stare su un motoscafo e non si bagna il doppiopetto. Facciamo attenzione, amici liberali: facciamo molta attenzione agli artigiani invischiati nella corsa al ribasso, nell’europeizzazione delle regole e delle abitudini, dei prezzi, dei salari e della qualità. Facciamo attenzione agli impiegati che hanno paura della robotizzazione, dell’automazione, delle «riorganizzazioni aziendali» che trattano donne e uomini alla stregua di numeri che non sentono dolore. Allo scintillio delle statistiche ILO e SECO queste dinamiche sfuggono, come anche la precarizzazione dei contratti e chi necessiterebbe una percentuale di lavoro più alta.

L’apprendistato in Ticino fa meno breccia rispetto alla Svizzera interna. È un aspetto culturale, e sicuramente dovremo rafforzare e scommettere sulla formazione continua. Ma voi – con onestà – consigliereste spensieratamente a vostro figlio 15enne di iniziare a Vacallo l’apprendistato in una professione dove corre voce che i contratti collettivi sono bypassati, e dove ogni giorno entrano dalla frontiera decine e decine di furgoni dei padroncini? Liberalismo non fa rima con protezionismo, qualcuno potrebbe dirmi. Ma il liberalismo presuppone che tutti giochino con le medesime regole. Se continuiamo a definire allucinazioni le inquietudini che toccano molti ticinesi e molte famiglie, prima o poi anche i più fedeli alla nostra causa metteranno altrove le loro crocette sulle schede di voto.

Questo Congresso è una giornata di festa, cari delegati, e non voglio guastarla; ma penso che questo sia anche il palcoscenico giusto per riconoscere le ombre che coesistono con le luci. Per essere un vero partito interclassista, come la nostra Storia ci ha insegnato a essere, non possiamo fare a meno di un realismo spietato. Ma voglio essere chiaro. Non mi piace la Schwarzmalerei, quella narrativa disfattista già rappresentata a sufficienza, tanto alla nostra destra quanto alla nostra sinistra. Le nuvole sopra l’economia lasciano comunque intravedere il cielo, e mostrano il sorgere di nuove professioni redditizie. Si tratta di un’alba che, però, non ci verrà incontro in modo automatico.

Per vederla dovremo riportare le idee giuste nel luogo che è fondamentale per l’avanzamento di ogni Paese: la scuola. Le rivolte del ’68 hanno abbattuto la scuola delle nozioni, ma ci hanno spinto nelle secche del relativismo assoluto e – ammettiamolo – anche di una pedagogia troppo paternalista. Il nostro compito di liberali radicali è di essere gli artefici di una nuova riforma dell’educazione. Per realizzarla bisognerà coinvolgere per davvero le migliori donne e i migliori uomini che vivono e hanno vissuto il mondo dell’insegnamento. Per progettare la scuola del XXI secolo dovremo porre al centro il ruolo dei docenti, sapendo che la vera stella polare saranno i bisogni delle nuove generazioni. Una scuola pubblica che sia di serie A. OVUNQUE. Ogni cittadino di questo Cantone deve mandare i suoi figli in classe con fiducia e orgoglio, senza il timore che – investendo qualche franco in più – potrebbe regalargli un futuro diverso. La frase affascinante e destabilizzante per cui il 65% dei bambini di oggi svolgerà nella vita più mestieri che ancora non esistono, chiede una formazione professionale all’avanguardia, ma chiede anche ragazze e ragazzi solidi nella costruzione umanistica della loro persona.

Care e cari amici, candidarmi al Consiglio di Stato è un atto di volontà e sarà un cammino di schiettezza, che conta più del bilancino della convenienza. La Svizzera che è nel mio cuore è un Paese nel quale le persone sono prestate alla politica. Una politica che non è fatta di carriere studiate. Una politica che rinuncia ai registri politichesi, che creano bolle ermetiche e allontanano le istituzioni dalla popolazione. Abbiamo ancora diversi mesi per conoscerci e confrontarci, poi potrete decidere se mi merito la vostra fiducia.

Che mi votiate o no, vi chiedo però di continuare a lavorare per il Paese. Infondete ogni giorno nuova linfa nel nostro federalismo: difendete l’autonomia dei Comuni e sentitevi parte integrante della Confederazione. Difendete una politica di milizia che faccia dialogare i molti ecosistemi della nostra società. Curate il territorio, anche se non ve ne viene in tasca nulla. Partecipate alla vita delle vostre comunità, entrando nelle associazioni e cucinando le torte per il banco del dolce dei vostri figli. E se non sapete cucinare, comperate le torte dei figli degli altri.

Fate tutto nella maniera più svizzera che potete: con sobrietà, passione e dedizione. In questo modo, insieme, terremo accesa la fiamma del nostro miracolo elvetico.