Per l’annessione del Piemonte – Cronaca goliardica di un weekend gagliardo
24 novembre 2017
Ogni anno l’attrazione delle terre sabaude si percepisce quando già al lunedì vorresti cocainizzare il flusso del tempo, affinché l’alba del weekend si delinei finalmente all’orizzonte. La missione è sempre la medesima: la ricerca costante di quel fortunato intreccio tra la tradizione contadina e l’influenza nobile del passato monarchico.
Venerdì mattina la salivazione al pensiero dei 48 tuorli porta l’amico Pietro Filippini a presentarsi miracolosamente in (quasi) orario sotto casa. Lui a stomaco vuoto e io con un misero yogurt alle more mature percepiamo ben presto il pericolo di un decollo verticale del weekend.
Una volta raggiunta a Bra l’altra metà del plotone dei veterani GLR – composto da Mattia Anselmini e Manuel Borla –, ci si fionda nello storico Caffè e Pasticceria Converso, consigliato dal 1838, in cui avviene il contest fra bollicine piemontesi e franciacortine: il risultato premia la Lombardia, che con il suo dosaggio zero pulisce alla perfezione i decimetri di salsiccia cruda. Poi, sempre ancora nella capitale dello Slow Food, allo scoccare delle 12.30 ci si incammina verso l’Osteria del Boccondivino, mecca dei prodotti della tradizione. Insalata russa, tonno di gallina, acciughe in bagnet verd, vitello tonnato e fassona al coltello. Poi è il momento dell’uovo in cocotte con una grattatina regale del “Mozart dei funghi”, il tartufo bianco (benché il 2017 ne rappresenti un annus horribilis): silenzio a tavola e ringraziamenti alle stelle e ai santi. Si procede ancora con gli gnocchi al Raschera – cremosi e mai pesanti –, i tajarin al ragù (i tuorli leggeri come l’aria), le cervella impanate e il brasato sincero. Dopo un timido Arneis, una competizione fra barbere e barbareschi ingolfano la tavola, dove ognuno deve gestire 3 calici in contemporanea. L’acqua no, fa ruggine.
Il tempo di una micro-passeggiata e il prossimo appuntamento ci chiama: degustazione a Barolo. Delusi dai vini Brezza, cerchiamo conforto a Barololand, un negozio dove due giovani commercianti ci dilatano ad personam gli orari di apertura. Marcatevi il Barbaresco Vigna Santo Stefano di Bruno Giacosa e quello della Cascina Roccalini, così come il Barolo Rocche di Renato Ratti. Eterna riconoscenza in fine al buon Manuel, che con un colpo di VISA – non del tutto capace di intendere e volere – ci ha offerto le vibrazioni del perlage 2003 della maison Krug. Un finale che ci ha fatto assorbire la delusione del ristorante serale, reo di dimenticarsi del nostro bollito. Colata di bagna cauda sul carpaccio e agnolotti al Seirass hanno dunque fornito le calorie finali per dormire serenamente.
Scendendo le scale che portano a colazione, ci si ripete “yogurtino-e-via”. Sul piatto finisce una toma piemontese, un po’ di cotto paesano e la crostata ancora tiepida. Passeggiando per Alba ci si dà un tono entrando da Mondadori, mentre si masticano pillole Brioschi come fossero Maltesers. È presto il momento del pranzo stellato a La Ciau del Tornavento: vista strepitosa sulla sensualità delle Langhe, cantina colossale con 70’000 etichette e una carta che manteca alla perfezione eleganza, gusti sinceri della terra e incursioni di pesce. Delle dieci portate, un tatuaggio sul cuore l’abbinamento della lingua tiepida con una tartare di astice accarezzata da un Chardonnay Piodilei del 2006 di Pio Cesare o oppure la zuppetta tiepida ai tre latti con uovo di quaglia poché, tartufo nero e porcino accompagnato da un sorprendente Chianti Castello dei Rampolla di 17 anni fa.
Alla sera – completato il dream team con il porschista e genovese Giovanni Poloni – la proprietaria del nostro Agriturismo Cà d’Olga ci assicura amorevolmente il tradizionale bollito. I ritmi gastroepatici cominciano a farsi sentire, ma abbiamo avuto il coraggio di non disdegnare i ravioli di coniglio d’entrata e concludere con un semifreddo di castagne e cioccolato nero.
La domenica mattina, la Cantina sociale a La Morra fornisce le scorte per casa. Una bella insegna dell’enoteca Wine not? ci attira e ci risolve la mattinata, con un percorso forestiero fra i bianchi austriaci e tedeschi: anche il ruvido Anselmini ha dovuto ricredersi. L’interrogativo del pranzo si faceva però sempre più pressante, e la risposta l’abbiamo trovata con il ristorante di Andrea Ribaldone all’Arborina Relais: la delicatezza della sua mano doveva esser premiata con una stella. E così è stato.
Finisce così un memorabile weekend di cucina di terra che non tocca il mare ma lo accoglie attraverso la Via del sale. Una regione che combina sapientemente 371 prodotti tradizionali registrati – dal Castelmagno ai porri di Cervere – e che in passato ha creato il cioccolato gianduia, rimediando in maniera geniale alla scarsità del cacao con l’aggiunta delle nocciole di Cuneo e dintorni. La capitale non poteva che essere la nobile Torino, alla quale intendiamo inoltrare una proposta indecente: l’annessione. La robustezza del nebbiolo con la morbidezza del merlot potranno scrivere grandi pagine di storia. Da stappare.